Da sempre io acquisto due robiole: una da consumare subito (ma anche più di una) e una da stagionare fino a farlo diventare un formaggio da grattuggia. Sul risotto è uno spettacolo!

Bisogna salire a Roccaverano, nella Langa più cupa e ribelle, per capire il vero carattere di questo formaggio difficile da ridurre a una semplice definizione, che evoca una storia secolare, un territorio unico e una peculiarità produttiva. Viene realizzato con latte caprino (a cui può esser aggiunto latte ovino o latte vaccino) ed è capace di caratterizzarsi sia nella versione fresca, dove sviluppa una caratteristica nota acidula, sia in quella stagionata, con la pasta morbida che cede e s’increspa. Le zone dove la produzione è più intensa si concentrano tra le province di Asti e Alessandria, in particolare tra Monastero Bormida e Roccaverano.

Le sue origini risalgono ai Celti che, stabilitisi in Liguria, iniziarono a produrre un formaggio simile al prodotto attuale. Della Robiola di Roccaverano si fa, inoltre, menzione nelle cronache dell’anno 1000. Fu con l’avvento dei Romani che questo formaggio assunse il nome di rubeola, dal latino ruber, termine con cui veniva indicato il colore rossastro assunto dalla crosta al termine della stagionatura. È un ottimo formaggio da tavola, sia fresco che stagionato, ma è anche una preziosa base nella composizione di ripieni per la preparazione di piatti locali, paste e sformati. Dimensioni: diametro 10-13 cm, scalzo 2,5-4 cm. Peso: da 250 a 400gr.

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