A Olivola a Villa Guazzo Candiani, che si distingue anche per la produzione vinicola

Selle tracce di questo luogo ci ha messo un vino, la miglior Albarossa dei nostri assaggi, che è nei vini Top Hundred del 2020. La produce Bricco dei Guazzi azienda di Olivola, paese cartolina, completamente in tufo, celebre per la leggenda dell’oro dei saraceni, che secondo alcuni sarebbe sepolto ancora qui. Ma se di leggende dobbiamo parlare, questa è Il Monferrato la cui accoglienza passa da location di charme come Villa Guazzo Candiani, splendida dimora cinquecentesca, alla quale la proprietà - Genagricola SpA - ha saputo dare significativi valori aggiunti a quelli che la struttura storicamente già possiede.
foto-apertura.jpgLa dimora di Olivola risale infatti al 1585 e fu di proprietà dei Marchesi del Monferrato; successivamente, fu posseduto dai Curioni Guazzi che tennero il paese col titolo di Conti. Quindi passò alla nobile famiglia Candiani, che ebbe nel conte ammiraglio Camillo Candiani D’Olivola la sua figura storica di rilievo. A contraddistinguere ulteriormente la dimora, un autentico gioiello che si rivelerà sotto i vostri piedi, ovvero il più grande infernot dell’intero Monferrato. E scoprirete come sia davvero emozionante scendere la ripida scalinata che conduce alla prima cantina di Bricco dei Guazzi, scavata sotto la Villa Residenziale. Questa parte della cantina è tuttora in funzione ed è impiegata come sala degustazioni collegata all’Infernot.
infernot.jpgSi possono ammirare ancora oggi le vasche di fermentazione in muratura, scavate sotto al piazzale d’arrivo dei carri con i grappoli. L’uva era lavorata “a caduta”: dai carri alle vasche di fermentazione e poi, il vino, a cascata veniva riposto nelle grandi botti di legno al piano inferiore. Ancora oggi si può ammirare una delle botti da 200 hl in legno costruita sul posto. Lungo il percorso sotterraneo, ritroviamo diverse nicchie che arrivano anche a -12 metri rispetto al piano di campagna e che costituiscono, appunto, gli “Infernot“ della cantina del Bricco dei Guazzi e che ancora oggi assolvono egregiamente al compito di conservare nel tempo le bottiglie più preziose. 
foto-bottiglie.jpgElemento distintivo, è il “tufo” o “Pietra da Cantone”, una roccia di colore giallo pallido che nel Monferrato si ritrova ovunque. In muri, gradini, scale, colonne, capitelli, muraglioni... e nei casot, quelle piccole casette usate per il ricovero degli attrezzi agricoli. Si tratta di una pietra molto particolare – un calcare marnoso, impropriamente chiamato tufo dai cavatori del Monferrato – con una storia che inizia circa 20 milioni di anni fa, quando il Monferrato era sommerso da un mare poco profondo e molto ricco di vita. 
botte.jpgTutti questi cunicoli sono raccordati con una galleria che porta all’esterno e sono facilmente visitabili dal pubblico. Si tratta davvero di una esperienza unica. Ma a sorprendere il visitatore, saranno anche le sale interne della Villa con i loro affreschi e i mobili d’epoca, i pavimenti originali, oltre ai preziosi elementi d’arredo come i lampadari di Murano. Al pari dell’ampia terrazza sita al piano nobile, e al parco, con i suoi sentieri e con i suoi alberi secolari, e dal quale si può godere di una vista mozzafiato sulle colline e sui borghi monferrini.

Oggi, Villa Guazzo Candiani si contraddistingue per la produzione vitivinicola, per la ricettività - con la disponibilità di quattro stanze affrescate per gli ospiti, le stesse che un tempo furono dei nobili Guazzi e dove si può godere del “Bel Riposo” - e per la ristorazione affidata al brand affermato del gruppo Buoirossi srl, che vede protagonista il giovane chef di vaglia Marco Molaro, corona radiosa della nostra guida. 
Tra le proposte da loro offerte, Light Lunch, Happy Hour & Dinner. Quale migliore occasione di degustare un aperitivo al tramonto, sorseggiando un calice di vino, un flute di bollicine o un originale cocktail preparato da un esperto barman. Seduti a rilassarsi nel giardino potrete lasciarvi sorprendere da sfiziosi finger food oltre, ovviamente, a scegliere alla carta da un menu assai ispirato di antipasti, primi, secondi e dolci d’autore. 

Quella sera abbiamo assaggiato anche qualche vino del Gruppo fra cui un fragrante Prosecco Rosè della Tenuta Sant’Anna; quindi la Ribolla brut di Torre Rosazza fino al brut Cuvée Maudit (charmat lungo di chardonnay e pinot nero) che era ricca, con note citrine e di pera, rotondo, piacevolissimo.
maudit.jpgSuperbo il Blanc di Neri di Torre Rosazza, uno schioppettino realizzato con metodo classico, del 2014, che aveva note di crosta di pane e frutta macerata. Caratteristico con la sua sapidità e le sue speziature dominanti.
torre-rosazza.jpgOra, se il vino cult resta l’intrigante Albarossa che premiammo: questa era il 2018 con la freschezza della barbera, ma il nebbiolo che comanda al naso, la vera sorpresa è stato una prova del loro Pinot nero 2019 dal colore trasparente che mostrava netti i piccoli frutti e la grafite. Ferroso e fruttato aveva un equilibrio davvero sorprendente e vien da dedicarlo ad Anne d’Alencon.
albarossa.jpgIconica la Barbera d'Asti 2018, molto elegante, distesa, con evidenza di rosa e mandorla. E qui siamo nel campo della goduria piena.
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